top of page

MARA FELLA

kintsugi
00:00 / 00:35

Mara Fella e le foto strappate.

 

 

 

Da Elio, di via Fatebenefratelli a Milano, il grande giornalista noto con il nome di Idro Montanelli, consumava i suoi pasti. Non poteva essere altrimenti, la cucina della “La Tavernetta” sfornava piatti della tradizione regionale toscana, la stessa Regione che aveva dato i natali al maestro di giornalismo. Fra le tovaglie bianche, posate e bicchieri, li dove era solito sedere il grande vecchio, in bella mostra appariva ancora la sua macchina da scrivere, quella Lettera 22 capolavoro del genio italico.

Alle sue pareti capolavori degli artisti della scuola di Brera, che offrivano alla Signora Lia Niccoli proprietaria insieme al marito Elio della trattoria negli anni 50 del XX secolo, le loro pitture divenute poi capolavori in cambio di un pasto caldo. Fra questi lo stesso Lucio Fontana, con i suoi primi tagli nella tela bianca, regolarmente rifiutati, giudicati dalla signora Lia, tele strappate. Erano quelle di Fontana solo l’inizio della rottura nell’arte figurativa, tagli divenuti di li a qualche anno capolavori del nuovo corso.

Oggi questa trasformazione la si ritrova nell’immagine fotografica, essa stessa figlia dell’arte pittorica, in cui si è passati dalla foto istantanea che racconta il momento, alla foto concettuale, la quale non sempre affine all’idea della fotografia stessa, trovandomi spesso in disaccordo, in quanto sovente esse appaiono ai miei occhi come un puro espediente di chi con la fotografia non è in grado di raccontare.

Il concetto nel rifiuto dell’idea consumistica della fotografia, di cui in questi ultimi tempi, se ne realizzano a centinaia di milioni (foto usa e getta), induce alla negazione di simili prospettive tale da indurre la fotografa Mara Fella, ad abbracciare una via diversa, tutta sua, in cui la sua fotografia si riveste di cicatrici attraverso gli strappi apportati e voluti, proprio come avvenne nella tela sfregiata di Lucio Fontana. Era linguaggio nuovo, ma altresì rifiutato al suo esordio come spesso accade nelle metamorfosi nella storia dell’arte.

In contrapposizione a tutto quanto, già da millenni vige come forma d’arte della cultura nipponica la raffinata tecnica del “Kintsugi”, la cui arte sta nel ri-assemblare un vaso prezioso o una economica teiera accidentalmente sbriciolatosi cadendo, impreziosendo con l’uso accorto di metalli e lacche le fenditure nel riunire i cocci, disegnando una trama da rendere l’oggetto una vera opera d’arte.

Durante il mio primo viaggio in Afghanistan, invaso dall’Armata Rossa dell’Unione Sovietica, fui attratto durante la mia permanenza nei miseri villaggi ancora popolati da genti dignitose, le teiere i cui cocci erano assemblati non con metalli preziosi, o resine particolari, ma con piccole graffette di rame, un mosaico di cuciture, da far apparire quei cocci veri capolavori assemblati da mani sapienti.

Così come nella tecnica del “Kintsugi”, Mara Fella, dopo ore in camera oscura, in cui ogni fotografo dovrebbe cimentarsi, ella, alla ricerca di quella perfezione non sempre raggiungibile così come si vorrebbe e immaginata, cede all’attimo di frustrazione da indurla nel gesto inconsulto, allo strappo della foto che ha richiesto il tempo per essere elaborata. Quel gesto stesso se pur violento, contiene in esso quel ripensamento in cui la vera arte ha bisogno, il travaglio interiore che induce alla perfezione della creatività, conduce al ripensamento, e l’immagine appena creata e strappata, può e deve ridare nuova vita nel far apparire in essa quell’attimo di sofferenza, in quello strappo che se pure accidentale nell’arte del “Kintsugi”, in Mara rappresenta la sofferenza in cui l’artista con quel gesto avrebbe voluto maledire se stessa.

La ricerca della perfezione era intrisa nell’essere dello stesso Lucio Fontana di Rosario, Argentina, tra i più noti nella storia dell’arte del 900, e discusso artista. I suoi famosi tagli lasciavano perplessi, eppure poche opere sono state così rivoluzionarie, in essi egli trovò probabilmente quella luce che lo rese il padre dello spazialismo, cosi come gli strappi di Mara Fella da Trieste, Italia, diventano la nuova frontiera della fotografia. Mara sperimenta e si è cimentata con le varie tecniche dell’arte fotografica, dall’uso delle Polaroid, e nel qual tempo nella stampa ai sali d’argento, o ancora nella manipolazione delle emulsioni Polaroid, per poi essere trasferite su carte da incisioni.

Oggi Mara Fella percorre questa nuova strada, intrapresa alla ricerca della perfezione, e divenuta un work in progress ancora al suo inizio di sperimentazione, ma che già i primi risultati fanno emergere uno stato d’animo, il suo interiore, e gli strappi apportati e ricomposti, denotano tutta la forza e la passione che ella trasferisce dal suo io interiore, nelle immagini da lei realizzate.

 

© Francesco Cito                                                                                                        16 Maggio 2022

74FA7B57-B3C9-4FE7-809D-7478378BACE4.JPEG
75FE26C6-4629-40F1-8694-AC4840D270CE.JPEG
4086559D-A716-4069-B256-88EB1EAAAE50.JPEG
7014BE5C-C3C2-416C-8C51-C9E60FB698B4.JPEG
5956691A-1B7F-4047-B80F-89377A58973D.JPEG

“Kintsugi” nasce a fine 2021, riflettendo sulla necessità di dare una nuova possibilità a vecchi lavori lasciati da parte perché non soddisfavano i criteri estetici e tecnici ai quali aspiravo; si trattava di fotografie “sbagliate”, sottoesposte, sovraesposte o messe male a fuoco in fase di scatto, ma che avevo ugualmente provato a stampare in camera oscura intuendo che qualcosa di buono doveva esserci, se non altro compositivamente parlando. 

Il gesto violento dello strappo traduceva la frustrazione delle ore di lavoro che sembravano perse, senza aver ottenuto alcun risultato accettabile. Lessi in quel periodo un articolo interessante il cui titolo recitava: “non è depressione, è capitalismo” e che mi rimase in mente per diversi giorni a seguire e che mi diede poi spunto per analizzare quei lavori da un altro punto di vista, più personale e privato.

 

Rifiuto l’idea consumistica ed antiecologica che impone che ciò che non è utile debba essere gettato, rifiuto di accettare la frustrazione che nasce in seno ad una società nella quale è fondamentale dover tendere alla perfezione ed elogio invece il fallimento, che è l’unico modo reale per crescere e migliorarsi.

 

Così, a dimostrazione di questo, decisi di ricomporre le fotografie strappate ispirandomi alla tecnica giapponese del kintsugi, utilizzando, nel mio caso, del pigmento dorato che da un lato ha il ruolo di riunire l’immagine e dall’altro però vuole anche evidenziare la rottura, lo strappo.

bottom of page